Le fake news sono ovunque. Il loro unico scopo è quello di seminare il falso, raggiungendo il numero massimo di lettori, tramite la condivisione di contenuti sui social e creando un’eco tra un post e l’altro, sfruttando l’emozione degli utenti che commentando impulsivamente senza controllare le fonti dell’informazione.
Purtroppo, la maggior parte di tali pubblicazioni riesce nel proprio intento, che siano malcelatamente false, o semplicemente abbastanza ambigue e insidiose da indurre il lettore in errore. A volte basta un titolo. Come recentemente evidenziato da un’indagine Ipsos, l’81% dei cittadini cechi ha avuto a che fare con fake news e la maggior parte di essi ha ammesso di non essersi resa conto subito che si trattava di un’informazione errata. Ha preso la notizia per vera e l’ha condivisa. Il danno era fatto.
Una situazione analoga si è verificata alcuni giorni fa in Italia, quando una fake news ha provocato un’incredibile ondata di risentimento contro la Repubblica Ceca. E se la sua diffusione non fosse stata interrotta, avrebbe potuto creare un incidente diplomatico di dimensioni enormi e conseguenze gravissime.
Cosa è realmente successo? Il quotidiano italiano La Repubblica ha pubblicato un articolo, in cui si sosteneva che il governo ceco avesse sequestrato delle forniture di materiale medico originariamente destinate all’Italia, e che avesse arbitrariamente deciso di trattenerle e distribuirle alle autorità sanitarie ceche. L’articolo intitolato “Coronavirus, mascherine per l’Italia sequestrate dalla Repubblica Ceca” accusava i cechi di egoismo e disinteresse per il destino altrui, proprio nel bel mezzo di una pandemia e di una crisi che ha investito l’Europa intera.
L’accusa si rifaceva al commento dell’analista ceco Lukáš Lev Červinka, affiliato al partito dei Pirati attualmente all’opposizione, il quale, sulla sua pagina Facebook, aveva pubblicato le immagini delle scatole contenenti la merce sequestrata, dichiarando che le autorità ceche avessero agito con l’intenzione di “confiscare” le mascherine e il materiale sanitario destinato agli ospedali italiani. Un’accusa pubblicata da Červinka senza aver svolto alcuna indagine in merito, basata sull’aver notato le bandiere italiana e cinese sulle etichette sulle scatole stesse. Non intendo fare speculazioni sul perché Andrea Tarquini di Repubblica abbia iniziato a interessarsi alla vicenda, ma una cosa è certa: sin dall’inizio l’articolo si basava su informazioni di parte spacciate come indipendenti, giacché Červinka veniva originariamente citato nell’articolo in qualità di “ricercatore”, senza menzione alcuna dell’appartenenza politica e delle possibili implicazioni della sua denuncia.
Questa versione stravolta dei fatti è stata rilanciata da altri media italiani e successivamente ripresa anche da alcune testate straniere. E i titoli sensazionali da clickbait hanno scatenato i leoni da tastiera sui social network, amplificando ancora una volta la diffusione del falso. Purtroppo, alcuni miei colleghi del Parlamento europeo, invece di cercare di calmare la situazione, si sono inseriti nella discussione fidandosi della veridicità dell’articolo prima di condividerlo o di pubblicare accuse, senza controllare adeguatamente le fonti né accettare spiegazioni e informazioni affidabili immediatamente condivise in via ufficiale dalle Ambasciate di entrambi i paesi.
Questa notizia, fondata su informazioni false, ha prodotto sin dai primi giorni più di mezzo milione di commenti su Facebook e Twitter, molti di essi generati dall’odio. Gli italiani, che già da alcune settimane erano sottoposti a enorme tensione e, tuttora, vivono in isolamento domestico, non si sono lasciati sfuggire l’occasione di sfogarsi contro un “nemico comune”, e le hanno cantate per bene a quegli egoisti dei cechi. Ingiustamente. Perché?
A metà marzo la polizia ceca ha effettivamente effettuato un sequestro di 680 mila mascherine e 28 mila respiratori in un deposito nella zona industriale di Lovosice (seguendo una pista che riconduceva a trafficanti del materiale stesso, sospettati di volere rivendere il materiale ad un prezzo maggiorato). L’indagine che ne è conseguita ha rivelato che solo una parte del materiale sequestrato (circa 100 mila mascherine) rappresentava una donazione della Croce rossa cinese di Qingtian ai cittadini cinesi residenti in Italia.
Il caso di per sé è complesso, ed è certo che l’indagine proseguirà per diverso tempo. Tuttavia, le autorità ceche, per mezzo del Ministro dell’Interno Jan Hamáček, hanno subito garantito a Roma che gli italiani non avrebbero perso nulla di quella donazione. Sin dall’inizio, la Repubblica ceca aveva deciso di sostituire le mascherine e il restante materiale sanitario con materiale proprio e di inviarlo in Italia. Ed è ciò che è successo. Alla fine, 110 mila mascherine sono giunte a Roma su un autobus organizzato dal Ministero degli Esteri, cui sono seguiti ulteriori aiuti: ad oggi la Repubblica ceca ha inviato in Italia 10 mila indumenti protettivi e ha inoltre inviato i modelli e le istruzioni per stampare respiratori 3D. Si sta anche discutendo di ulteriori forniture all’Italia per la lotta contro l’infezione da coronavirus e altri azioni solidali non si faranno attendere.
La storia, quella vera, ha avuto un lieto fine, e occorre sottolineare il ruolo magistrale giocato dalla diplomazia italiana e dalla diplomazia ceca, e in particolare dall’ambasciatrice ceca a Roma e dal console generale ceco a Milano. Solo grazie ai contatti e ai rapporti di lunga data dell’ambasciata e del consolato si è riusciti a spegnere l’incendio e a bloccare la diffusione di notizie false evitando che continuassero a provocare danni.
Chissà, però, quanti avranno memorizzato la versione falsa senza mai incappare in quella reale, senza ricredersi, e chissà quanta cattiveria è stata seminata da quell’articolo in quei giorni in cui ha rimbalzato sui media italiani e sui social network!
In questo periodo difficile, dobbiamo essere ancora più cauti davanti ai titoli, non dobbiamo credere a tutto quello che ci viene propinato senza controllare le fonti o senza informarci sul contesto. In questo momento così delicato, la diffusione di informazioni fuorvianti e l’istigazione all’odio e a sentimenti anti-europei sono l’ultima cosa di cui l’Europa e i Paesi membri hanno bisogno. Ora che siamo tutti chiusi in casa a causa del coronavirus e non ci lasciamo sfuggire nemmeno una notizia sulla pandemia, dobbiamo soppesare e ponderare ogni parola che leggiamo e sentiamo. Allo stesso modo, dobbiamo valutare bene la forza e il peso di ogni frase che scriviamo e pronunciamo. Oggi più che mai, è importante verificare le informazioni per poi elaborarle nel modo corretto, altrimenti incorreremo sempre più spesso in altri incidenti analoghi e non vogliamo di certo vivere in un mondo simile.
Martina Dlabajová